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MASSIMILIANO

LUZZI

Massimiliano Luzzi, ricercatore instancabile di forme armoniche che richiamano l’origine ancestrale della vita, fa del vetro il suo prediletto messaggero.
Una materia ostica, nella quale l’artista scopre forme e luci di una maternità primordiale che riporta al suo primo ventre, l’acqua.
La fusione di questa materia inesplorata ci regala forme morbide che veicolano una luce filtrata, come guardare il cielo dal fondale marino.
Il mondo che Luzzi ci invita ad esplorare è un mondo fatto di sensazioni, di lezioni impercettibili che rifuggono la memoria ed inebriano i sensi, quei “Cinque sensi” che risuonano in una delle opere più caratterizzanti dell’artista. Cinque strumenti sensoriali celebrati uno ad uno su bassorilievi in vetro monocromo in cui gli occhi, organo della vista, la fanno inevitabilmente da padrone come l’opera “I sediciocchi” ben dimostra. Sedici sguardi rivolti al mondo, incastonati in una simmetria di quattro colori, blu, azzurro, verde e rosso, che spingono lo sguardo dello spettatore fuori dai suoi contorni, quasi come a ricordarci la potenza del vedere, del vedere oltre.
L’opera “Gli scrigni”, uno sfondo etereo, dai contorni indefiniti, che lascia emergere figure femminili armoniche, allungate, scrigni, per l’appunto, di una femminilità perduta, disconosciuta, che Luzzi recupera e ci ripropone nel suo tratto inconfondibile.
Un tema, quello del femminile, molto caro all’artista che riemerge in diverse opere con intenzioni diverse. “Il sole della vita”, opera di forte impatto, incornicia i nostri volti in uno specchio contornato di corpi, corpi sinuosi, di armoniche proporzioni, che sembrano invitarci a rivedere noi stessi proprio attraverso quei valori di appartenenza e ricerca di sé declinati al femminile. I colori scelti sono forti, primitivi, si alternano regalando circolarità all’opera e una più intensa luminosità.
Il corpo femminile è paragonato ad un ventre da cui tutto si genera, qualcosa di sacro che va protetto nell’interezza dei significati di cui è custode. In un mondo in cui tutto è in vendita poiché tutto è merce, nasce l’esigenza di confrontarsi con un’arte di denuncia e Luzzi accetta questa sfida e crea “Merci sacre”. Un titolo che letto come un ossimoro, potrebbe già di per sé essere un atto di denuncia contro la mercificazione del corpo femminile e di tutto ciò che rappresenta. Figure femminili, stavolta nere, opache, vengono letteralmente graffiate, sporcate dalla mano esterna di un mondo che le mercifica nel tentativo di denaturalizzarle. Nonostante ciò, c’è una luminosità che traspare ricordandoci che la sporcizia non incide il significato bensì lo amplifica, rendendolo strumento di una denuncia che può salvare la sfera femminile.

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